Fare a meno dell’internazionalizzazione oggi? Impossibile.
La congiunta economica sfavorevole – ed il calo repentino dei consumi interni – impongono alle PMI italiane di rivolgersi all’estero dato anche il fortissimo richiamo del “Made in Italy” all’estero.
Dopo l’ovvia premessa resta da chiedersi: come mai le parole “internazionalizzazione” , “export marketing”, “marketing internazionale” e così via, sono di moda da anni ma solo poche aziende intraprendono la strada dei mercati esteri?
Le scelte dell’impresa e la sua performance nei mercati esteri sono influenzate da una decisione di estrema importanza: l’adozione di una strategia di marketing internazionale “ad hoc” che consenta alle aziende di scegliere i mercati giusti.
Uno degli errori più frequenti che l’azienda compie è quello di intraprendere processi di esportazione verso “paesi limitrofi” in virtù di minori costi di trasporto, minori rischi di cambio, cultura e lingua simili. O ancora, esportare in paesi “famosi”, solo perché più conosciuti e presi di mira dalla stragrande maggioranza delle aziende.
Scontato sottolineare che né l’uno, né l’altro, sono comportamenti strategicamente validi.
Il primo step da compiere per intraprendere un valido percorso di internazionalizzazione è, infatti, strutturare un piano di marketing internazionale “ad hoc” ovvero modellato sull’esigenze dell’azienda e dei suoi prodotti a cui segua una correlata strategia comunicativa.
Lo step successivo è quello di studiare nel dettaglio il paese ed il relativo mercato target a cui potenzialmente rivolgersi che, per molteplici fattori (differenze culturali, religiose, linguistiche, normative, burocratiche e così via) può essere più o meno ricettivo nei confronti del prodotto da promuovere. In base ai risultati ottenuti dalle ricerche, l’azienda potrà sapere se esistono concrete opportunità di mercato in altri paesi, le capacità umane produttive e finanziarie richieste nonché i competitor già presenti e decidere quindi se entrare nel maggior numero di mercati possibili o se concentrare la sua azione su pochi mercati.
In seguito si passa all’esame delle possibili “entry strategies“, le strategie che l’impresa può adottare per entrare nel mercato prescelto; tali strategie sono evidentemente molteplici, poiché risultanti dalla combinazione di vari elementi riguardanti la scelta del prodotto, le politiche dei prezzi, le scelte dei canali di importazione e distribuzione, la localizzazione geografica della produzione, le forme di promozione delle vendite e vanno sempre disegnate sulle caratteristiche e sulle esigenze dell’azienda e dei prodotti.
Le strategie di approccio ai mercati esteri possono essere ricondotte principalmente a quattro macro-categorie: esportazione indiretta, vendita diretta all’estero, integrazione con il mercato estero, impresa multinazionale o impresa globale. Qualunque sia il meccanismo scelto, fondamentale è la strategia di comunicazione internazionale posta in essere tenendo conto delle specifiche differenze dei mercati target: lo sviluppo di efficaci strumenti di comunicazione d’impresa rappresenta, infatti, un passaggio importante per aumentare la competitività dell’azienda.
Gli strumenti che prioritariamente (ma non certamente gli unici) devono essere definiti prima di proporsi sui mercati esteri sono:
– il listino prezzi per l’estero: il “prezzo export” dei prodotti va determinato a seconda che l’acquirente sia il cliente finale, l’importatore o il distributore e dovrà essere calcolato sulla base del costo di produzione e del margine di profitto, non prescindendo dalle spese di imballaggio, di confezionamento e di produzione di etichette adatte al mercato di riferimento, dai costi di trasporto, di sdoganamento, di assicurazione e dagli eventuali dazi per l’ingresso nel paese estero.
– il catalogo informatico e cartaceo: un catalogo ben fatto dovrà rispondere alle tre domande chi siamo (descrizione dell’azienda), cosa vendiamo e quali sono i vantaggi (prodotti e servizi) e cosa abbiamo fatto (referenze). Dovrà essere redatto con terminologia tecnica adeguata e in lingua inglese, ancor meglio se redatto anche in spagnolo, tedesco, arabo e così via: un catalogo trilingue potrà essere usato nella maggior parte dei paesi.
– l’etichettatura: le norme al riguardo variano infatti da Stato a Stato. Benché l’inglese sia ampiamente utilizzato, in alcuni paesi è obbligatoria l’etichettatura in lingua locale, così come riportare eventuali informazioni aggiuntive richieste dalla legislazione vigente nel paese.
Infinite combinazioni di azioni specifiche possono poi essere ideate per conseguire l’obiettivo preposto:
– ricerca di partner esteri: questa azione, propedeutica alle altre, consente di individuare un gruppo ristretto di operatori locali che risponda ai requisiti predefiniti dall’impresa italiana quali ad esempio: la licenza per l’importazione, la localizzazione in una determinata area, la disponibilità di un magazzino, la disponibilità a un mandato in esclusiva;
– eventi/missioni promozionali all’estero: attraverso queste iniziative, l’azienda ha la possibilità di presentarsi ad un pubblico specializzato favorendo il ricordo del brand grazie all’esperienza di un vero e proprio evento emozionale;
– degustazioni/tasting guidate del prodotto: la degustazione del prodotto e la comunicazione interpersonale con il produttore consente di evidenziare le caratteristiche principali dello stesso, giocando su fattori esperienziali e sensoriali;
– partecipazione a fiere/incontri BtoB: la presenza dell’azienda in fiera può, se ben programmata e gestita, creare un contatto immediato con operatori esteri interessati al prodotto: attenzione va posta in tal caso alla fase seguente, quella del “follow up”, ovvero il consolidamento e la trasformazione del contatto ottenuto in un accordo commerciale;
– incoming in azienda: l’azione di incoming rappresenta il mezzo privilegiato per “far entrare” direttamente in azienda gli operatori esteri, favorendo la conoscenza della storia, della cultura e delle tradizioni legate a quel prodotto e a quell’azienda.
E’ essenziale creare iniziative mirate e soprattutto inserirle in una specifica strategia di penetrazione dei mercati esteri e rinnovarle periodicamente: approcci commerciali sporadici, investimenti elevati in missioni o attività fieristiche che si traducono in ritorni poveri, basso controllo della rete distributiva, errate strategie comunicative, scarsa conoscenza di regole e legislazioni diverse possono causare notevoli perdite per le aziende sia in termini di risorse finanziarie che di competitività e percezione del brand all’estero.
In un epoca economico-sociale caratterizzata da instabilità ed indecisione, l’unica vera certezza oggi è che chi non è “marketing oriented” non può più essere competitivo e rimanere sul mercato.